Sentenze della Corte nelle cause C-63/99, C-257/99 e C-235/99
I cittadini di tali paesi possono invocare direttamente dinanzi ai giudici nazionali il diritto di
stabilimento previsto dagli accordi di associazione conclusi tra l'Unione e la Polonia, la
Repubblica ceca e la Bulgaria.
Tuttavia, gli Stati membri conservano il potere, ai sensi degli accordi medesimi, di
disciplinare il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini di tali paesi.
Questi tre accordi sono diretti a costituire un ambito adeguato ai fini dell'adesione dei detti tre
Stati all'Unione europea. A tal fine gli accordi contengono tutti un capitolo riguardante la
circolazione dei lavoratori, il diritto di stabilimento ed i servizi.
Essi prevedono, in particolare, disposizioni che vietano discriminazioni fondate sulla
nazionalità nei confronti dei cittadini dei detti tre Stati che siano lavoratori autonomi,
fondatori e gestori di società. Questi devono infatti beneficiare di un trattamento altrettanto
favorevole quanto quello previsto nei confronti delle società e dei cittadini degli Stati membri.
Il Regno Unito ha provveduto ad adeguare la propria normativa in materia di immigrazione a
seguito dell'entrata in vigore degli accordi conclusi con i paesi dell'Europa centrale ed orientale
(Immigration Rules del 1994). Tale normativa stabilisce requisiti speciali per la concessione del
permesso di soggiorno nel Regno Unito a coloro che intendano ivi svolgere un'attività ai sensi
degli accordi medesimi.
Oggetto delle tre cause sono controversie tra cittadini polacchi, cechi e bulgari, da un lato, e
l'amministrazione britannica, dall'altro.
- I coniugi Gloszczuk sono cittadini polacchi che hanno ottenuto rispettivamente nel 1989
e nel 1991, vale a dire anteriormente all'entrata in vigore dell'accordo di associazione, un
permesso di ingresso nel Regno Unito in qualità di turisti. I loro visti di ingresso
prevedevano espressamente il divieto di svolgere lavoro dipendente e di esercitare
attività commerciali o professionali a titolo di lavoro autonomo. Alla scadenza dei visti
essi non hanno lasciato tuttavia il Regno Unito, venendosi quindi a trovare in situazione
di irregolarità. A seguito della nascita di un figlio nel 1993, i coniugi Gloszczuk hanno
chiesto la regolarizzazione del proprio soggiorno e il sig. Gloszczuk ha affermato di
essersi stabilito nel Regno Unito nel 1995 in qualità di costruttore autonomo. Le loro
domande sono state respinte dal Secretary of State che riteneva che l'accordo di
associazione potesse trovare applicazione unicamente nei confronti di persone in
situazione regolare.
- Il sig. Barkoci ed il sig. Malik hanno cercato di ottenere, nel 1997, il riconoscimento
dello status di rifugiato politico nel Regno Unito, presentandosi come nomadi provenienti
dalla Repubblica ceca. Le loro domande sono state respinte. Nel 1998 hanno presentato
anche domanda di stabilimento nel Regno Unito, ai sensi dell'accordo di associazione,
in qualità di giardiniere autonomo (il sig. Barkoci) o fornitore di servizi di pulizie
domestiche e commerciali (il sig. Malik). L'amministrazione ha accettato quindi di
considerare tali domande quali domande di ingresso iniziali, benché i richiedenti si
trovassero già sul territorio britannico. A fronte dei progetti di stabilimento esposti dai
medesimi, l'amministrazione non si è ritenuta convinta della loro consistenza finanziaria
né del carattere autonomo delle attività di lavoro previste e ha respinto quindi le
domande.
- La sig.ra Kondova, studentessa di medicina veterinaria di origine bulgara ha ottenuto nel
1993 un permesso di ingresso sotto forma di visto valevole per un unico ingresso nel
Regno Unito per una durata di tre mesi quale lavoratrice agricola. Alla scadenza del
permesso di ingresso iniziale, malgrado il rigetto della domanda presentata ai fini del
riconoscimento dello status di rifugiata politica, non ha lasciato il Regno Unito. La sig.ra
Kondova ha riconosciuto di aver voluto scientemente indurre in errore l'amministrazione
britannica al proprio arrivo nello Stato medesimo, in cui intendeva ottenere il
riconoscimento dello status di rifugiata politica. Avendo iniziato attività di lavoro
autonomo in qualità di donna di pulizie, ha chiesto nel 1996 di essere autorizzata a
restare nel Regno Unito in base alle disposizioni dell'accordo di associazione e ciò
nonostante l'illegalità del proprio ingresso sul territorio del detto Stato membro.
Essendosi nel frattempo unita in matrimonio con un cittadino della Repubblica di
Mauritius in possesso di diritto di soggiorno illimitato, ha fatto valere l'aiuto economico
che il coniuge poteva fornirle. Non avendo immediatamente ottenuto il riconoscimento
dei diritti, che a suo parere, si fondano direttamente sull'accordo di associazione, la sig.ra
Kondova ha chiesto il risarcimento dei danni.
La High Court of Justice, dinanzi alla quale pendono le tre controversie contro l'amministrazione
britannica, ha chiesto alla Corte di giustizia delle Comunità europee di pronunciarsi in merito
all'efficacia diretta ed alla portata del diritto di stabilimento previsto dagli accordi di
associazione.
La Corte di giustizia rammenta anzitutto la finalità degli accordi di associazione: promuovere
gli scambi e relazioni economiche armoniose al fine di sviluppare la prosperità di tali Stati e
facilitarne le future adesioni.
La Corte ritiene che le autorità degli Stati membri conservano il potere di applicare, nei limiti
previsti dai detti accordi, le normative nazionali in materia di ingresso, soggiorno e stabilimento.
La Corte osserva, tuttavia, che il principio di non discriminazione di cui devono beneficiare
i cittadini polacchi, cechi e bulgari che intendano svolgere sul territorio degli Stati membridell'Unione attività economiche in qualità di lavoratori autonomi o fondare e dirigere società dai
medesimi effettivamente controllate, possiede efficacia diretta: il principio in tal modo sancito
è sufficientemente operativo ed incondizionato e deve essere applicato dai giudici nazionali
chiamati a pronunciarsi sulla situazione giuridica dei singoli interessati.
Gli accordi di associazione attribuiscono, quindi, a questi cittadini il diritto di stabilimento, vale
a dire il diritto di accedere ad attività industriali, commerciali, artigianali, a libere professioni e
di esercitarle in qualità di lavoratori autonomi.
La Corte si richiama alla propria giurisprudenza ai sensi della quale il Trattato CE implica il
riconoscimento ai cittadini degli Stati membri del diritto di ingresso e del diritto di soggiorno
come conseguenza diretta del diritto di stabilimento.
La Corte rileva, tuttavia, che il diritto di ingresso ed il diritto di soggiorno non costituiscono
prerogative assolute concesse ai cittadini polacchi, cechi e bulgari e che il loro esercizio può
essere eventualmente limitato dalle normative degli Stati membri. Le norme nazionali in
materia di immigrazione non devono peraltro vanificare né pregiudicare i vantaggi derivanti ai
cittadini dal diritto di stabilimento previsto da tali accordi.
La Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di una normativa nazionale in
materia di immigrazione con le clausole dei tre relativi accordi di associazione, ha affermato i
principi seguenti:
- uno Stato membro non può negare l'ingresso ed il soggiorno ad un cittadino di uno degli Stati
interessati ai fini dello stabilimento di tale cittadino in base alla nazionalità od al paese di
residenza del medesimo, in quanto sussistano limitazioni all'immigrazione, né subordinare il
diritto di tale cittadino ad avviare un'attività di lavoro autonomo a considerazioni economiche
relative al mercato del lavoro;
- occorre stabilire se l'attività prevista nello Stato membro ospitante dai beneficiari delle
disposizioni degli accordi di associazione costituisca effettivamente un'attività di lavoro
autonomo e non un'attività di lavoro subordinato. L'attuazione di un sistema nazionale di
controllo preventivo della natura esatta dell'attività prevista (valutazione, in base ad indagini
dettagliate, di risorse economiche sufficienti e di ragionevoli probabilità di successo) è pertanto
compatibile con l'accordo di associazione;
- per contro, un cittadino polacco, ceco o bulgaro che rilasci false dichiarazioni ed eluda i
controlli pertinenti, affermando di recarsi in uno Stato membro a fini turistici intendendo invece
avviare un'attività economica, si colloca al di fuori della sfera di tutela riconosciuta dall'accordo
di associazione: uno Stato membro può, in tal caso, respingere la domanda del medesimo ed
esigere che questi presenti nuova regolare domanda nelle forme all'uopo previste, chiedendo
il rilascio di un visto di ingresso presso i competenti servizi nel proprio Stato di origine o in un
altro Stato, sempreché ciò non impedisca che la sua situazione venga successivamente presa
in esame.
- in tal senso, gli interventi delle autorità nazionali non devono pregiudicare la sostanza stessa
del diritto di ingresso, di soggiorno e di stabilimento di tali cittadini, che beneficiano, peraltro,
dei diritti fondamentali (quali il rispetto della vita familiare ed il rispetto dei beni) sanciti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
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