Divisione Stampa e Informazione

COMUNICATO STAMPA n. 69/02


10 settembre 2002

    Sentenza della Corte nei procedimenti riuniti C-216/99 e C-222/99

Riccardo Prisco s.r.l. / Amministrazione delle Finanze dello Stato,

Caser s.p.a. / Amministrazione delle Finanze dello Stato

Le tasse riscosse per l'iscrizione degli atti societari nel registro delle imprese sono legittime solo qualora vengono calcolate secondo il costo del servizio fornito

La restituzione di tributi accertatamente non consoni a tale principio non può essere assoggettata a condizioni specifiche sfavorevoli



Il Tribunale di Milano e la Corte d'Appello di Roma hanno chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla restituzione di tasse di concessione governative relative all'iscrizione nel registro delle imprese degli atti riguardanti la vita delle società. Questi sono gli antefatti.

Nel 1972 un decreto del Presidente della Repubblica (in prosieguo: "D.P.R.") ha istituito una tassa di concessione governativa sull'iscrizione nel registro delle imprese di vari atti societari (costituzione, aumento di capitale, proroga della durata della società, modifica dell'oggetto o del tipo di società, fusione e altri): il suo importo variava in base alla forma della società per quanto riguarda l'atto costitutivo ed era unico per gli altri atti. A decorrere dal 1984 la tassa per l'iscrizione dell'atto costitutivo era dovuta ogni anno.

Nel 1993 la Corte di giustizia pronunciò una sentenza nella causa Ponente Carni, che indusse vari giudici italiani a dichiarare la tassa di concessione contrastante con la direttiva 69/335/CEE, riguardante le imposte indirette sulla raccolta di capitali; ma la Corte dichiarò parimenti la legittimità dei diritti di carattere remunerativo rispetto al costo di operazioni imposte dalla legge per uno scopo di interesse generale anche se, fatte salve alcune condizioni, detti diritti erano calcolati forfettariamente.

Un decreto legge del 1993 fissò quindi l'importo unico di lire 500 000 per l'iscrizione dell'atto costitutivo (abolendo la riscossione della tassa per ogni anno successivo) e l'importo di lire 250 000 per tutti gli altri atti.

Di conseguenza, parecchie persone si rivolsero ai giudici italiani per ottenere la restituzione di tasse di concessione indebitamente versate tra il 1985 e il 1992.

In tale contesto, nel 1996 la Corte Suprema di Cassazione ebbe a dichiarare che detta restituzione era soggetta, per quanto riguarda le tasse versate per errore, ad un termine di decadenza di tre anni a decorrere dal momento del pagamento previsto dal decreto del 1972.


Invitata a pronunciarsi sulla compatibilità di detto termine con il diritto comunitario, la Corte di giustizia, in talune sentenze del 1998 (Edis e a.), dichiarò che gli Stati membri conservavano il diritto di opporre un termine di decadenza alle domande di restituzione di tasse riscosse in violazione del diritto comunitario, anche se tale termine era meno favorevole di quello della ripetizione dell'indebito tra privati, purché esso si applicasse sia alle azioni basate sul diritto comunitario sia a quelle basate sul diritto nazionale e non fosse specificamente adottato vanificare dette domande di restituzione a seguito dell'accertamento dell'incompatibilità delle tasse di cui trattasi con il diritto comunitario.

La Corte di giustizia aggiunse anche che le modalità di calcolo degli interessi sulle somme da restituire potevano, anch'esse, essere meno favorevoli che nelle azioni tra privati, a condizione che le modalità fossero equivalenti a quelle applicate per i procedimenti basati sul diritto nazionale per lo stesso tipo di tasse.

Una legge del 1998 (la finanziaria per il 1999) istituì retroattivamente nuove tasse di concessione per gli anni 1985-1992 secondo le modalità seguenti: pagamento (una tantum) di lire 500 000 per l'iscrizione dell'atto costitutivo e versamento forfettario annuo per l'iscrizione degli altri atti. La legge precisava che la domanda di restituzione delle vecchie tasse indebitamente versate doveva essere presentata entro tre anni dalla data del pagamento e fissava un tasso d'interesse che, secondo i giudici interpellanti, era inferiore a quello applicabile alle domande dello stesso genere basato sul diritto nazionale.

Le questioni pregiudiziali vertono sostanzialmente su tre punti:

1. Le tasse retroattive

Le parti hanno sostenuto che la remunerazione del servizio fornito per l'iscrizione è già stata coperta da diritti di cancelleria riscossi per altro verso e che, comunque, le tasse non sono retributive di un servizio reso poiché talune vengono riscosse senza un'effettiva iscrizione e i costi effettivi del servizio non sono stati previamente calcolati.

La Corte ricorda che questo tipo di tasse è vietato dalla direttiva salvo nel caso in cui abbia carattere remunerativo.

In pratica le tasse forfettarie retroattive istituite nel 1998 si aggiungono alle tasse analoghe già versate tra il 1985 e il 1992: pur se, a causa del termine di decadenza, queste ultime non possono essere restituite, non si può attribuire alle tasse retroattive un carattere remunerativo.

Viceversa, per quanto riguarda le società che possono esigere la restituzione, spetta ai giudici nazionali accertare se le tasse retroattive abbiano o no carattere remunerativo alla luce dei criteri già stabiliti dalla Corte.

Riferendosi ai diritti di cancelleria, la Corte ricorda ai giudici nazionali che gli Stati membri sono, eventualmente, liberi di riscuotere parallelamente più remunerazioni, purché il loro totale non superi il costo del servizio fornito. Essi possono anche prendere in considerazione l'insieme dei costi delle operazioni, compresa la frazione delle spese generali loro imputabili.

2. Il termine di decadenza

In conformità alla propria giurisprudenza (Edis, 1998), la Corte ribadisce che l'interpretazione fornita dalla Corte Suprema di Cassazione del 1996, rispecchiantesi nella legge del 1998, riguardava una disposizione già vigente prima delle dichiarazioni di incompatibilità che costituivano oggetto della sentenza Ponente Carni del 1994 e concerneva tutte le tasse di concessione italiane.

Di conseguenza, il diritto nazionale può prevedere un termine di decadenza triennale derogante al regime della ripetizione dell'indebito tra privati, giacché esso si applica allo stesso modo alle azioni di ripetizione basate sul diritto nazionale.

Peraltro, detto termine non rende praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario, giacché la sua osservanza si valuta a decorrere dal momento in cui è stata presentata la domanda di restituzione. Quindi, la legge del 1998 non modifica la normativa previgente.

3. Le modalità del calcolo degli interessi applicabili alle somme restituite

Le parti fanno valere che alla restituzione delle tasse dichiarate contrastanti con il diritto comunitario a seguito della sentenza Ponente Carni viene applicato un tasso sfavorevole.

La Corte, sulla falsariga della propria giurisprudenza, dichiara che le modalità di restituzione devono applicarsi indifferentemente ai ricorsi riguardanti infrazioni del diritto comunitario e a quelli relativi all'inosservanza del diritto nazionale. Talune modalità di calcolo possono essere meno favorevoli per la restituzione di tributi indebitamente riscossi, rispetto alla ripetizione dell'indebito tra privati, purché tali modalità si applichino allo stesso modo alle azioni basate sul diritto nazionale e a quelle basate sul diritto comunitario.

Tuttavia, la restituzione di un tributo che è stato dichiarato contrastante con il diritto comunitario a seguito di una sentenza della Corte non può essere assoggettata a condizioni specifiche meno favorevoli di quelle si applicherebbero in loro mancanza.

Spetta al giudice nazionale accertare se le circostanze di fatto debbano indurre a non applicare il tasso d'interesse previsto dalla legge del 1998.


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