Divisione Stampa e Informazione


COMUNICATO STAMPA n. 112/03

9 dicembre 2003

Sentenza della Corte nella causa C-129/00

Commissione / Italia

LA PRASSI AMMINISTRATIVA E LA GIURISPRUDENZA ITALIANE SUL RIMBORSO DELLE IMPOSTE PECEPITE IN VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO VIOLANO GLI OBBLIGHI CHE INCOMBONO ALL’ITALIA SECONDO IL TRATTATO CE


L’Italia deve modificare la sua disposizione di legge, poiché essa è interpretata in modo tale da rendere eccessivamente difficile, per il contribuente, l’esercizio del suo diritto al rimborso


Una disposizione di legge italiana del 1990 (“legge comunitaria”, per l’esecuzione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee) prevede che i diritti doganali all’importazione o altre imposte percepite ai sensi di disposizioni nazionali incompatibili con la legislazione comunitaria, sono restituite unicamente se l’onere corrispondente non è stato riversato su altri soggetti.

La Commissione ha ritenuto che questa disposizione sia applicata, da parte dell’amministrazione italiana e da parte di alcune giurisdizioni (in particolare, la Corte di Cassazione) nel senso che, per opporsi al rimborso dei diritti doganali o delle imposte indebitamente versate, l’amministrazione può basarsi sulla presunzione del loro trasferimento su terzi.

La Commissione ha esposto che la Corte di cassazione ritiene provato il trasferimento delle dette imposte su terzi, in base al semplice fatto che il richiedente sia un’impresa commerciale, ed aggiungendo a volte i motivi che l’impresa non sia fallita e che la tassa sia stata percepita per anni, sull’intero territorio nazionale, senza contestazioni.

La Commissione ha inoltre sottolineato che alcune giurisdizioni italiane giudicano in senso sfavorevole la mancata produzione di documenti contabili da parte del richiedente (documenti richiesti sistematicamente da parte dell’amministrazione) e che l’amministrazione stessa considera la mancata iscrizione a bilancio - da parte dell'impresa che ne reclama il rimborso - delle tasse, sin dall’anno del loro versamento, come crediti all’attivo del bilancio a titolo di anticipi al Tesoro pubblico per imposte non dovute, come una prova del fatto che queste tasse sono state riversate su dei terzi.

Secondo la Commissione, una tale interpretazione della norma del 1990 rende il rimborso delle tasse e delle imposte in pratica impossibile o eccessivamente difficile ed è contrario al diritto comunitario.

La Corte di giustizia delle CE ricorda che un inadempimento di uno Stato membro può essere constatato, ancorché risulti da atti di un’istituzione costituzionalmente indipendente.

La Corte considera che il testo di legge è di per sé neutro rispetto ai requisiti propri del diritto comunitario, ma la sua portata deve essere valutata in considerazione dell’interpretazione che ne danno le giurisdizioni nazionali.

Il ragionamento della Corte di cassazione si fonda sull’idea che le imposizioni indirette sono normalmente trasferite a valle della catena di vendita da parte degli operatori economici.

Secondo la Corte di giustizia una tale premessa costituisce una semplice presunzione che non è ammessa nel contesto dell’esame delle domande di rimborso delle imposizioni indirette contrarie al diritto comunitario.

La mancata produzione di documenti contabili richiesti dall’amministrazione entro il termine legale di conservazione può, viceversa, essere presa in considerazione per dimostrare che le tasse sono state trasferite su terzi, ma non è di per sé sufficiente per provare questo trasferimento, né per porre a carico del richiedente l’onere di apportare la prova che potrebbe ribaltare questa presunzione.

Nelle situazioni in cui l’amministrazione chiedesse invece la produzione di questi documenti oltre il termine legale di conservazione, un tale requisito renderebbe l’esercizio del diritto al rimborso delle tasse contrarie al diritto comunitario eccessivamente difficile.

Infine, il fatto di non avere iscritto a bilancio – sin dall’anno del loro versamento – l’imposizione non dovuta, a titolo di anticipo al Tesoro pubblico, non può costituire la prova del trasferimento sui terzi. Infatti, ciò supporrebbe che il soggetto imponibile ritiene immediatamente di potere contestare, con fondata speranza di successo, il suo versamento, mentre invece, ai sensi della legge del 1990, dispone di un termine di più anni per introdurre detta domanda. Oltretutto, una tale iscrizione potrebbe addirittura rivelarsi in contrasto con i principi che presiedono ad una regolare contabilità, in considerazione della difficoltà di ottenere la restituzione.

Per tutte queste ragioni, la Corte giudica che l’Italia ha violato gli obblighi cui è tenuta in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea.




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Articolo 29, II comma, della legge n. 428 del 29 dicembre 1990.

Imposte di fabbricazione e di consumo, sovrapprezzo sullo zucchero e diritti erariali.