Divisione Stampa e Informazione
COMUNICATO STAMPA N. 67/03
9 settembre 2003
Monsanto Italia S.p.A e a./ Presidenza del Consiglio dei Ministri
Sentenza della Corte nella causa pregiudiziale C-236/01
LA SEMPLICE PRESENZA DI RESIDUI DI PROTEINE TRANSGENICHE IN NUOVI PRODOTTI ALIMENTARI NON
IMPEDISCE LA LORO IMMISSIONE IN COMMERCIO, MEDIANTE UNA PROCEDURA SEMPLIFICATA, SE NON VI
SONO RISCHI PER LA SALUTE UMANA
Tuttavia, se uno Stato membro ha motivi fondati per sospettare l'esistenza di un
simile rischio, può limitarne provvisoriamente o sospenderne la commercializzazione e l'utilizzo sul suo
territorio
La Monsanto Europe S.A. e altre imprese attive nel settore della biotecnologia agroalimentare
avevano ottenuto in Francia e nel Regno Unito l'autorizzazione all'immissione in commercio di
taluni chicchi di granoturco geneticamente modificato (Bt 11 e MON 810). Il granturco
geneticamente modificato presenta una resistenza a determinati insetti ed erbicidi.
Nel 1997 e nel 1998 la Monsanto e a. hanno notificato alla Commissione,
nell'ambito della "procedura semplificata", la loro intenzione di commercializzare prodotti provenienti da granturco
geneticamente modificato, quale la farina. L'autorità britannica competente in materia di valutazione degli
alimenti aveva in precedenza attestato che tali alimenti equivalevano, nella sostanza, ad alimenti
tradizionali.
La Commissione ha trasmesso le notifiche agli Stati membri.
Nel 2000, un istituto scientifico italiano ha rilevato, nella farina di cui trattasi,
la presenza di residui di proteine transgeniche (prodotte dal gene inserito) che, secondo
tale istituto, non presentavano tuttavia alcun rischio per la salute umana.
La Repubblica italiana considerando in particolare taluni pareri diversi di organi scientifici italiani
ha avuto dubbi in ordine all'innocuità di tali prodotti. Essa ha quindi stabilito
(con decreto 4/8/2000) una sospensione preventiva della commercializzazione e dell'utilizzo di prodotti provenienti
da tali linee di granturco. La Monsanto e a. hanno quindi impugnato il
decreto italiano, a loro parere contrario al diritto comunitario.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha quindi chiesto alla Corte di giustizia
delle Comunità europee se nuovi alimenti, contenenti residui di proteine transgeniche a determinati
livelli, possano essere considerati sostanzialmente equivalenti ad alimenti esistenti e, di conseguenza, se
essi possano essere commercializzati secondo la procedura semplificata.
La Corte ricorda innanzitutto che il regolamento comunitario sui nuovi prodotti alimentari ha
una duplice finalità:
Ԁ garantire il funzionamento del mercato interno dei nuovi prodotti alimentari e
Ԁ tutelare la salute pubblica.
Il regolamento qualifica come "sostanzialmente equivalenti a prodotti o ingredienti alimentari esistenti" quelli
che presentano differenze di composizione, ma che non hanno effetti negativi sulla salute
pubblica.
L'equivalenza sostanziale è valutata sulla base degli elementi scientifici disponibili ad opera di organismi
specializzati prima dell'immissione in commercio: ciò non implica la valutazione dei rischi che
è richiesta nell'ambito della procedura normale. Viceversa, l'assenza di equivalenza sostanziale non implica che
l'alimento sia pericoloso, ma semplicemente che esso deve essere oggetto di una valutazione
dei rischi.
La Corte stabilisce che la procedura semplificata non deve in alcun caso trasformarsi
in un indebolimento delle norme di sicurezza che devono essere rispettate dai nuovi
alimenti.
La Corte sottolinea, tuttavia, che talune differenze nella composizione dei nuovi alimenti non
impediscono di ritenerli sostanzialmente equivalenti: esse devono tuttavia essere specificamente menzionate nell'etichettatura.
Spetta al giudice italiano verificare, in particolare alla luce dei criteri interpretativi forniti
dalla Corte, se i nuovi alimenti siano sostanzialmente equivalenti ad alimenti esistenti.
La Corte dichiara che, in caso di ricorso ingiustificato alla procedura semplificata, uno
Stato membro può a titolo preventivo limitare provvisoriamente o sospendere la commercializzazione del
prodotto sul suo territorio ("clausola di salvaguardia", prevista dal regolamento), senza dover preliminarmente
mettere in discussione la legittimità della procedura.
La dimostrazione dell'esistenza di rischi per la salute può giustificare l'adozione di una
tale misura: in tal caso, il rischio non deve essere puramente ipotetico, né
risultare fondato su semplici supposizioni non ancora verificate; lo Stato deve basarsi su
indizi precisi e non su ragioni aventi carattere generico.
La clausola di salvaguardia è un'espressione specifica del principio di precauzione e permette di
assumere misure di tutela senza attendere che l'effettività e la gravità dei rischi
siano pienamente dimostrate, ancorché una valutazione scientifica completa sia impossibile a causa dell'insufficienza
dei dati scientifici.
Nell'ambito di una stretta cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri, l'esame
iniziale di equivalenza sostanziale da parte di un organismo scientifico di uno Stato
membro è soggetto a controllo a livello comunitario. Del pari, la misura di tutela
adottata dallo Stato ai sensi della clausola di salvaguardia è oggetto di una verifica
a livello comunitario.
Esiste nelle seguenti lingue:FR, EN, IT. Il testo integrale della sentenza sarà disponibile sulla pagina Internet www.curia.eu.int verso le ore 15 di oggi. Per maggiori informazioni rivolgersi alla dott.ssa E. Cigna tel. (352) 43 03 25 82 fax (352) 43 03 26 74.
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Ԁ Regolamento (CE) del Parlamento e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui
nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GU L 43, pag. 1).